sabato 3 dicembre 2011

L'avidità, la concorrenza sleale e l'avarizia

Queste tre parole vengono accostate a qualcosa di negativo, ma non è per tutte quante così.
L'avidità è il carburante del progredire, la leva che permette di raggiungere obiettivi impensabili. Non si deve accostare il significato di avidità solo al denaro, una persona può essere avida di fama, di potere, di rispetto, d'amore, ecc.
Tutti noi siamo avidi, dallo sportivo che per primeggiare si allena il doppio dei colleghi, all'imprenditore che continua a investire in ricerca per diventare o mantenere la leadership nel settore, in modo da aumentare fatturato, prestigio e utili.
L'avidità sicuramente è alla base del capitalismo, dell'individuo come espressione di differenti qualità.
Novantanove volte su cento solo l'individuo ha la capacità di raggiungere obiettivi grandiosi. Pensiamo alle aziende, da Ferrari a Apple, da Walt Disney a Google, tutte sono nate da un'intuizione, dalla visione di un individuo che si è applicato giorno e notte per realizzare il proprio sogno. Questa avidità ha permesso di crescere, di creare posti di lavoro, di innovare e dare benefici alla società.
Quando per raggiungere degli obiettivi si intraprendono delle scorciatoie, uscendo dal solco delle regole, l'avidità si trasforma in concorrenza sleale.
Questo modus operandi lo troviamo in quasi tutti i settori, dall'imprenditore che offre tangenti in cambio di un lavoro particolarmente fruttifero, fino all'atleta che si dopa. Questo metodo danneggia fortemente le attività del proprio settore.
Esiste un gradino successivo alla concorrenza sleale, si chiama avarizia.
L'avarizia è arrecare un danno alla società ignorando il benessere altrui a favore esclusivo del proprio.
Negli ultimi anni, in Italia è quasi la normalità. Non pagare le tasse reca un danno al proprio settore (concorrenza sleale) e alla comunità (minor gettito per lo stato, ovvero noi tutti).
Il top dell'avarizia a mio avviso consiste nella delocalizzazione di aziende.
Provate a pensare all'imprenditore che vent'anni fa ha aperto un piccolo laboratorio artigianale, ci ha messo del suo, molto entusiasmo, un buon prodotto e grandi doti commerciali. Dal piccolo paesino è partita la sua sfida ai grandi colossi, forte della passione e di quel brand “made in Italy” che lo fa apprezzare anche nei mercati esteri.
In poco tempo riesce ad arrivare tra i big del settore, e dopo anni di considerevoli profitti diventa avaro.
Deve rendere conto agli azionisti, aumentare gli utili anche se il mercato risente di un calo.
La soluzione è li, facile, non necessita di grandi strategie.
Esistono paesi dove la manodopera costa pochissimo, i lavoratori possono essere schiavizzati, le tasse sono inferiori, non esistono norme stringenti sulla sicurezza e permettono un utile in aumento mantenendo inalterato il prezzo di vendita nei paesi sviluppati da dove provieni.
Forse in quest'ultima frase è racchiuso tutto il senso dell'articolo.
Sei nato nella parte del mondo ricca, hai avuto un istruzione, hai usufruito di vaccinazioni e medicinali, hai utilizzato tecnologie all'avanguardia e sei riuscito a fare impresa.
Ora che sei in una fase di stallo scappi lasciando il tuo paese al suo destino.
In verità penso di aver capito, hai smesso di lottare, la tua passione è venuta meno, quelle doti imprenditoriali che ti invidiavano tutti sono svanite e il rispetto guadagnato giorno dopo giorno si è sgretolato.
Oggi sarai più ricco ma non passerai alla storia, sarai semplicemente uno dei tanti mercenari che sono passati su questo pianeta.

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